C’è un rischio “overdose” di informazione connessa alla cucina, alla gastronomia e a tutto quanto ruota intorno al business della tavola? Più che di rischio possiamo seriamente affermare di vivere già in uno stato di overdose perchè di cucina e di ricette, di piatti e di gusto ne sono stracolmi i media e pervasi i social. Di overdose però si muore e il rischio incombente sul sistema-cucina e relativa offerta gastronomica italiana è quello di un’implosione comunicativa in grado di infliggere un colpo mortale a un settore che, più di qualsiasi altro, meriterebbe di essere salvaguardato, innanzitutto da chi la cucina la fa e non la predica. Il rischio per il pubblico è quello di raggiungere la saturazione informativa con l’inevitabile calo di interesse in grado di infliggere un colpo mortale a questo mondo che è stato letteralmente travolto da un protagonismo generalizzato e contaminante h24 per il quale tutto ruota e sembra ruotare solo intorno ai fornelli da mattina a sera. La straordinaria e incessante molte di informazioni provenienti da fonti sempre più indistine e indistinguibili non riesce più a trasformarsi in conoscenza, cioè in valore a sua volta in grado di fornire idee e strumenti per interagire con la realtà, per migliorarla e con essa migliorare anche la qualità della nostra vita. Le conseguenze di questa sovraesposizione mediatica possono risultare devastanti, oltre che sul piano dell’immagine, per l’economia e per il lavoro legati al mondo del food in tutte le sue espressioni. Come sempre avviene, in questi casi i migliori e più efficaci regolatori del sistema sono gli attori che alimentano il circus gastronomico che devono far proprio un codice di autoregolamentazione che per lo meno restituisca ai reali e legittimi detentori della civiltà della tavola la titolarità di esserne ambasciatori.