“Fatti mandare dalla mamma a prendere il nuovolatte”:
il nuovocibo, paradigma per una nuova consapevolezza alimentare.
(di: Alberto Corbino, presidente UCMed; docente di Food Studies, Arcadia University – Roma).
Il Festival vegano di Calais, previsto per il settembre 2018, è stato annullato dal sindaco della città francese pochi giorni prima, per timore di tensioni con i membri della locale associazione dei macellai, che a loro volta lamentavano di numerose azioni perpetrate ai danni di macellerie in tutto il paese, da parte di estremisti vegani.
E’ questo un recente, eclatante esempio di come, per dirla con Brillat-Savarin, il cibo riveli chi siamo, ci definisca cioè sempre più come individui e come gruppo sociale.
E’ così da sempre: dalle tavole imbandite dei re che ostentavano i cibi che i poveri non potevano permettersi, al Manifesto della Cucina Futurista di Filippo Tommaso Marinetti contro la pastasciutta, il cibo è stato da sempre un elemento fortemente identitario.
Oggi il cibo pervade, quando non monopolizza, qualsiasi ambito di produzione culturale, dai palinsesti televisivi a internet, dalla carta stampata ai social media, con una sovra-produzione di immagini che è stata presto etichettata come foodporn, pornografia del cibo, in contrasto, mi piace pensare, a quella sacralità del cibo, paradigma di riferimento in qualsiasi angolo della terra fino a pochi decenni or sono.
Questa enorme mole di informazioni senza filtro, unita alla infinita disponibilità di ogni tipo di cibo a buon mercato, sta creando una nuova tipologia di consumatore, il selezionatore o selectarian – fortunata definizione che coniai alcuni anni or sono nell’ambito di una ricerca per l’UCMed – cioè chi seleziona il proprio cibo in base a un mix di criteri (religione, etica, salute, dietetica, territorio, ecc.) e non solo più in base al proprio gusto.
Ciò avviene a prescindere dalla fonte dell’informazione, da una visita medica o dall’aver mai messo piede in un caseificio o in una fattoria: un esercito di terrorizzati dal glutine e dall’olio di palma, che però non esita ad acquistare prodotti pronti con carne separata meccanicamente oppure gamberetti di allevamento, ignorandone l’altissimo impatto ambientale e sociale sulle coste dove sono allevati.
Anche per chi va oltre le mode e cerca di informarsi seriamente, tornano sempre a galla dubbi amletici: la dieta mediterranea e il China study suggeriscono di ingerire meno proteine animali, ma poi come spiegare i centenari sardi, vissuti a cannonau , percorino e carne di maiale?
In breve: informati o no stiamo diventando tutti selectarian e quindi tutti autoreferenziali esperti di cibo. E il cibo stesso rischia, ancora una volta, di essere elemento di divisione piuttosto che di comunione tra le persone e le comunità, come nella sua natura: è difatti uno dei più efficaci elementi di penetrazione culturale (quale è il primo termine tedesco che vi viene in mente? würstel! in giapponese? sushi! in arabo: kebab!), senza contare quanto il mondo abbia fatto da sempre ricorso alla food diplomacy per distendere gli animi dei potenti nei meeting internazionali.
Noi di UCMed, per placare gli animi e mettere d’accordo tutti, proponiamo allora una nuova definizione che può essere adottata anche come nuovo paradigma: il nuovocibo. Non più quindi una classificazione in base ad appartenenze culturali, né a supposti effetti sulla salute, ma in base al metodo di produzione: quanto più si allontana dalla natura, dai ritmi delle stagioni e dalla vita, dalla terra e da un processo di trasformazione artigianale, tanto più il cibo sarà nuovocibo, con diverse possibili sfumature nel mezzo. Non c’è giudizio di merito, non c’è buono o cattivo, ma solo una divisione, nemmeno troppo manichea, tra ciò che era e ciò che è, un invito ad andare oltre gli spot pubblicitari, i marchi, le mode, le etichette scintillanti.
Quindi se andiamo in macelleria ad acquistare un pollo allevato in maniera intensiva che è passato dall’uovo al bancone in soli 35-40 giorni di simil vita, allora stiamo acquistando un nuovopollo; se invece andiamo dal contadino di fiducia ad acquistarne uno ruspante, allevato in maniera estensiva e che ha impiegato i suoi 70-110 giorni per diventare adulto, come avrebbe fatto in natura, allora sì: stiamo acquistando un pollo.
La stessa cosa dicasi per le nuovemele, quelle belle, tutte uguali, con la pelle liscia senza una macchia, frutto della melicolutura più intensiva che prevede decine di trattamenti chimici; o per il nuovolatte, a cui io preferisco quello che oggi si chiama latte nobile, ma che in un sistema sano dovremmo chiamare semplicemente latte. Ed è possibile continuare l’esempio con il nuovopane, fatto con il frumento canadese essiccato col glifosato, contrapponendolo al pane di frumento 100% italiano, che matura al sole e magari prodotto con farine di grani antichi. E via discorrendo.
Qualcuno potrebbe opporre la seguente obiezione: il solo cibo che ci si può permettere è il nuovocibo, tutto il resto, il cibo, è roba per ricchi, come in “1984” di Orwell (se non l’avete letto, fatelo!). A questa obiezione rispondo con i fatti, con una mia esperienza. Stesso scaffale di supermercato, stesso giorno: 500 gr. di ottime lenticchie di Altamura, con tanto di marchio IGP a solo 10 centesimi in più (circa il 6% del prezzo) di 500 gr. di ottime lenticchie con noto marchio, senza origine di provenienza.
Penso che sia una differenza accettabile, soprattutto quando si consideri che in gioco c’è la nostra salute e la difesa della nostra economia e del nostro territorio. Vi invito a verificare e sperimentare voi stessi quanto ho appena affermato. Il cibo è alla portata di tutti, ma serve un po’ di impegno per distinguerlo dal nuovocibo. E per compensare quella piccola differenza di prezzo, basta acquistare più qualità e meno quantità, riducendo così anche lo spreco alimentare.
Anche se può sembrare solo una provocazione o pura utopia, credo che il solo introdurre il prefisso “nuovo” nel nominare un cibo che stiamo per acquistare – “fatti mandare dalla mamma a prendere il nuovolatte” canterebbe Gianni Morandi – potrebbe far suonare un campanello nella testa dei consumatori e aumentare la loro consapevolezza rispetto a ciò che acquistano, spingendosi a chiedersi cosa realmente stiano mettendo in tavola per le loro famiglie o ordinano al ristorante.
Cibo o nuovocibo: meditate gente, meditate!