Si chiama Cooking Therapy ed è l’ultima moda in fatto di ‘medicine alternative’. Il presupposto di base è che cucinare (e gustare i piatti preparati) allevia dolori e sofferenze sia fisiche che mentali e aumenta l’autostima. La teoria sta prendendo piede tra gli psicologi più all’avanguardia: in tempi in cui i disturbi legati all’alimentazione sono molto diffusi e i binge food (il raptus alimentare) è utilizzato come frequente valvola di sfogo, cucinare per se stessi e per gli altri può diventare una sorta di terapia.
Cucinare sembra offrire un gran numero di benefici: aumenta l’autostima e favorisce l’intimità nella coppia, fa sentire utili e positivi, distrae dal disagio e dai problemi, aumenta la creatività e allena la manualità e la memoria (impegnata a ricordare i passi della ricetta). Inoltre cucinare (sia nell’atto della preparazione del piatto che in quello del’assaggio conviviale) favorisce i rapporti sociali e familiari e rafforza i legami affettivi. Insomma, cucinare non va più inteso solo come un obbligo in più in una giornata già piena di impegni, ma come un momento di svago e di salute fisica e mentale. Una vera e propria Cooking Therapy che scioglie tensioni, mantiene concentrati, allontana stress e pensieri negativi, mette in moto i sensi. In alcune università e centri di riabilitazione, la Cooking Therapy è già ampiamente utilizzata su pazienti affetti da disturbi ossessivo – compulsivi, disordini alimentari e depressione. (da www.paginemediche.it)