L’Università della Cucina Mediterranea è da sempre convinta sostenitrice dei provvedimenti per tutelare la salute pubblica, ed ancora di più oggi invita i soci e i lettori di questo blog a rispettare scrupolosamente le indicazioni che tante vite stanno salvando dall’epidemia del Covid-19: #restiamoacasa, è un nostro preciso dovere!
Tuttavia ciò non ci impedisce di porci domande sui provvedimenti di legge che hanno un così drammatico impatto sulle attività produttive che questo ente da oltre dieci anni si occupa di studiare e valorizzare, in particolare la ristorazione. Alcuni giorni fa abbiamo sollecitato una riflessione (e una soluzione) sulla chiusura delle pasticcerie, attività che avrebbe potuto tornare a respirare in occasione della Pasqua.
In questo caso l’attenzione la spostiamo sulle pizzerie. Abbiamo parlato con colleghi e amici a Bari, Torino, Trento, Venezia, Roma, Milano, Palermo, Firenze: in tutti questi luoghi è possibile ordinare una pizza al telefono e farsela consegnare a domicilio (stiamo quindi parlando esclusivamente di asporto con consegna a domicilio!). In Campania, ad oggi, non è possibile!
La nostra difficoltà a comprendere questa disposizione di legge (evidentemente una restrizione a carattere regionale) nasce da queste considerazioni di senso comune:
– ciò che va preservato in maniera rigorosa sono 1) il distanziamento sociale e 2) l’igiene? Benissimo: stiamo parlando di 1) consegne a domicilio, come quelle per le migliaia di pacchi che ogni giorno viaggiano con i più disparati (e magari superflui) beni provenienti da mezzo mondo; e 2) stiamo parlando di un settore di professionisti che da sempre rispetta in maniera scrupolosa le regole sull’igiene vigenti in materia;
– se il settore economico fosse marginale, questa cosa potrebbe essere forse più accettabile (ma andrebbe comunque giustificata). Ma sappiamo tutti come la pizza sia uno dei principali business della ristorazione in Campania (oltre 17mila aziende, il 14% della produzione nazionale, oltre 1 milione di pizze sfornate al giorno in questa regione*) e il protrarsi di questo divieto rappresenta quindi un danno economico enorme.
E lo è ancora di più qualora si considerino i problemi di immagine che potrebbero derivarne (infondate dietrologie quali ad esempio “non li lasciano perché ci saranno di certo carenze sulle norme igieniche, come sempre in Campania!!!”) e anche, ci si consenta, la questione di identità: la pizza è Napoli, è la Campania, e privare i campani del proprio cibo identitario, quando in tante altre regioni d’Italia ciò è consentito, potrebbe suonare come un’inutile provocazione di un popolo che, esattamente come nelle altre regioni, sta affrontando con grande sacrificio questa lunga quarantena.
Ecco: noi invitiamo tutti, oggi più che mai, al rigoroso rispetto delle regole. Ma vorremo anche che tali regole ci fossero spiegate dai nostri legislatori, e non essere invece trattati come ragazzini che devono subire una regola per principio, con l’ulteriore beffa di vedere andare in rovina tante piccole realtà produttive. Dal 14 apriranno le librerie (ne siamo felici) e altre attività commerciali: tanti cittadini in tutta Italia si troveranno a respirare la stessa aria e condividere gli stessi spazi, sfogliando libri e riviste. Aspettare una pizza a casa può essere tanto più contagioso di questo, ci chiediamo?
Arriverà una risposta? Ci faranno comprendere la ratio del provvedimento? Noi, con migliaia di pizzaioli campani, attendiamo a braccia aperte, così come si aspetta una pizza fumante.
#restateacasa #magariaspettandounapizzaquantoprima
(*Fonte: Cna alimentare, per TuttoPizza, 2018)